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Blocco Navale Prodi

Il relitto della nave albanese, recuperato, è diventato un monumento a Otranto. La situazione in Albania non migliorò, il governo locale chiese l'intervento di una forza militare internazionale: arrivò con l'operazione Alba, promossa dall'Italia e autorizzata dall'ONU. Il blocco navale permise di intercettare decine di imbarcazioni, ma non fermò i viaggi dei migranti: soltanto il 5 maggio a Bari sbarcarono 1. 500 migranti. In Albania si tennero delle nuove elezioni a giugno; l'Italia in agosto ritirò il suo contingente militare e si impegnò poi ad addestrare le forze militari e la polizia albanese, mentre la situazione tornò molto lentamente a una specie di normalità.

Ma anche se la nave dovesse raggiungere un porto italiano non è detto che lo Stato debba per legge far scendere a terra le persone. Aumenterebbe la pressione morale su Salvini, ma la questione legale sarebbe decisamente più complessa di quella immaginata dalla Sea Watch. Di seguito uno degli ultimi tweet condivisi sulla pagina Twitter della Sea Watch If our captain Carola follows the law of the sea, that asks her to bring the rescued people on the #SeaWatch3 to a safe port, she might face heavy sentences in Italy. Help Caro to defend human rights, donate for her legal defense: DE93 4306 0967 1239 3243 00 — Sea-Watch International (@seawatch_intl) June 26, 2019 L'Ong con il capitano della nave I vertici dell'Ong hanno fatto sapere di sostenere la decisione del capitano di forzare il blocco. Fallite le vie legali, per raggiungere l'Italia non resta altra ipotesi se non quella di infrangere le leggi. Fonte foto: La Sea Watch lancia una raccolta fondi per il capitano Con un messaggio condiviso sui propri profili social, l'Ong ha fatto sapere di aver aperto una raccolta fondi per sostenere e aiutare il capitano della nave che, forzando il blocco, rischia sanzioni severissime alla luce del nuovo Decreto Sicurezza di Matteo Salvini.

Vero e proprio blocco navale ma per farlo meglio digerire la chiamarono «Operazione di Convincimento». Furono schierate due Fregate (Aviere e Sagittario), due Corvette (Driade e Urania) e la Nave militare Sibilla. Una macchina da guerra gioiosa ma imponente (ricordate Occhetto? ), avanzata al limite nautico delle acque territoriali albanesi con l'ordine di non far passare nessuno. Durante quelle operazioni però successe un incidente fastidioso per l'operazione progressista. Il 28 Marzo 1997 nave Sibilla della Marina Militare speronò la fatiscente ex motovedetta militare albanese «Kater i Rades» Era un Venerdì santo: 57 morti 24 dispersi, 81 vittime di cui 31 tutti minorenni sotto i 16 anni Solo 34 sopravvissuti. Nessuna incriminazione al tribunale dei ministri. Nessun esponente del governo Prodi si presenta a Brindisi (centrale delle operazioni) per rendere omaggio alle 57 vittime. Per quell'evento pagarono solo i comandanti delle navi, la magistratura ovviamente non incriminò nessuno del governo che aveva ordinato il blocco navale.

ultimo aggiornamento: 26-06-2019

La verità è che uno Stato che si consideri tale deve preservare i propri confini e la propria sovranità. Oggi come nel 1997. Fonte: OLTRE LA LINEA

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È un modo di ragionare antico quanto le emigrazioni. Il mito del blocco navale comincia a crearsi alla metà degli anni novanta, davanti all'esodo albanese verso le nostre coste. Nel marzo del 1997, quando il paese balcanico sprofondò in uno stato di guerra civile, la leghista Irene Pivetti, ex presidente della camera, sostenne che per fermare l'invasione sarebbe stato necessario "ributtare a mare" tutti i profughi albanesi. Al governo c'era Romano Prodi. Fu allora che, di fronte a un esodo di poche decine di migliaia di persone che scappavano dalla guerra civile, furono elaborate per la prima volta le politiche di respingimento. Sotto la pressione della destra, l'Ulivo decise di inviare le navi militari a bloccare i barconi in alto mare. Risultato? Appena due giorni dopo la promulgazione di quelle misure militari (dette tecnicamente manovre di harassment e destinate a creare effettivo pericolo per la navigazione) una motovedetta stracarica di donne e bambini, la Katër i Radës, fu speronata dalla Sibilla, una corvetta della nostra marina militare.

Italia mercoledì 22 Aprile 2015 Era il 1997, lo scopo era fermare i migranti che arrivavano dall'Albania: non andò benissimo Dopo il naufragio avvenuto nella notte tra sabato e domenica nel Canale di Sicilia, nel quale si teme siano morte circa 850 persone su una barca di migranti, diversi politici hanno suggerito di iniziare un "blocco navale": cioè un'azione militare con l'obiettivo di impedire l'accesso e l'uscita di navi dai porti di un certo territorio. Nella recente storia dell'Italia c'è un precedente, anche se formalmente non fu chiamato così: quello del "blocco navale" sulle coste dell'Adriatico per fermare i migranti provenienti dall'Albania, negli anni Novanta. L'Albania negli anni Novanta Dopo la caduta del regime comunista, all'inizio degli anni Novanta l'Albania si ritrovò in una situazione molto complicata e difficile. Il paese era politicamente isolato, con un livello di criminalità molto elevato, povero e arretrato da un punto di vista economico. Il governo albanese cercò di porre rimedio con una serie di riforme, tra cui quella delle cosiddette "imprese piramidali" che funzionavano come delle banche ma con un tasso di interesse molto alto.
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Un'operazione di contrasto allo sfruttamento dell'immigrazione deve per forza di cose coinvolgere tutti i paesi che stanno sull'altra sponda del Mediterraneo ma non solo. Le coste libiche non sono che la penultima tappa del viaggio per molti migranti che partono dai paesi dell'Africa sub-sahariana o dalla Siria. Una parte di queste persone sono rifugiati in fuga da persecuzioni politiche e religiose che hanno diritto all'asilo politico, lasciarle in Libia non è la soluzione migliore dal punto di vista della difesa dei diritti umani. L'infografica del Messaggero sui paesi di provenienza dei migranti (17 aprile 2015) Per tutti gli altri, per coloro che cercano una vita migliore in Europa, bloccare le partenze dei barconi dai porti libici senza pensare ad un qualche tipo di misura di politica internazionale da mettere in atto prima che si mettano in viaggio verso le coste del Mediterraneo rischia di assomigliare molto alla situazione del bambino che tappa il buco della diga con un dito.

giorgio prodi

Lo ha dichiarato il senatore Maurizio Gasparri (FI).